UN LIBRO DI SERGIO D'AMARO
BEATLES: QUANDO LA POESIA E' MUSICA
Una vita è fatta di suoni, di musiche, di ritornelli che scandiscono e nascondono il passare del tempo, lo scorrere di quei grani di sabbia che all’inizio hanno un ritmo lento, poi diventano sempre più veloci e meno significativi. Pensavamo a questo, leggendo l’ultimo lavoro di Sergio D’Amaro, la raccolta di poesie Beatles (Caramanica Editore, Marina di Minturno, 2004, pag. 76, euro 8).
D’Amaro è uno studioso di San Marco in Lamis che da molti anni opera nell’ambito letterario, affiancando ai testi di critica i propri lavori creativi. Di qui, da una parte, saggi e volumi di italianistica, che vertono soprattutto sul Novecento, ed in particolare su Carlo Levi, al quale ha dedicato vari studi, da solo e in collaborazione con Gigliola De Donato.
Sull’altro piatto della bilancia, invece, troviamo testi poetici come Gargan River, del 2000, che segnano un solco nel quale si è inserito ora questo volumetto, Beatles, che già dal titolo rivela i suoi intenti e il suo contenuto. D’Amaro vuole ritornare alle sue radici di uomo, facendo scorrere di nuovo il nastro della propria esistenza, scandita dall’arrivo del ciclone dei quattro musicisti inglesi.
Siamo negli anni Sessanta, ovviamente, quando matura l’adolescenza del giovane scrittore, classe 1951, che intravede davanti a sé gli orizzonti di un mondo destinato a cambiare repentinamente. Dall’arrivo della musica dei Beatles alle inquietudini del Sessantotto il passo è brevissimo e tutto si lega in un’unica corrente, che ha fortemente condizionato, per forza di cosa, l’esistenza dei giovani di allora. Probabilmente per questo il libro di D’Amaro richiede anche una certa dose di complicità generazionale, strizzando l’occhio ai giovani di allora, per far comprendere qualcosa di più a chi è nato dopo e di quella stagione ha conosciuto molto meno o addirittura ignora tutto.
Il titolo Beatles si riferisce in particolare alla prima parte della silloge, formata da 15 diverse composizioni, chiamate pickup. In ognuna di esse ritorna qualcosa del mondo del mitico complesso inglese, ma anche di altri cantanti che hanno lasciato il segno nel poeta, ai quali D’Amaro rivolge un vero e proprio ringraziamento finale, affiancando Luigi Tenco a Gino Paoli, Mina a Lucio Battisti, senza trascurare il Gianni Morandi di C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones.
Il ragazzo ora è un poeta che rivela tutta la suggestione di questo mondo soprattutto anglosassone, che imponeva i propri ritmi e la propria lingua. Di qui la scelta dei titoli dei vari pickup, come Feed Back, Abbey Road, Leslie e via discorrendo.
Da questo mondo deriva, in fondo, anche il metro utilizzato da D’Amaro, che predilige un verso lungo, dal ritmo più prosastico che lirico; una scelta, questa, che D’Amaro ritiene la più congeniale al suo obiettivo, che è quello di rendere la forza e la pregnanza delle cose, dell’orizzonte che vuole richiamare alla memoria. Questo comporta un bando radicale verso le atmosfere più propriamente e tradizionalmente liriche.
Ricordavamo prima Gargan River, proprio per la presenza del verso lungo, e alla base di tutto troviamo un illustre ascendente in quel Walt Whitman, il maestro americano delle Foglie d’erba, Leaves of grass, che ha lasciato un vivo segno in tanti poeti del Novecento italiano sulla strada del verso libero.
In quest'ambito, dunque, si pone, con la sua personalità e il suo orecchio musicale Sergio D’Amaro, raccontandoci, come lui stesso scrive al termine del Postscriptum autobiografico, la “storia appena
pronunciata di un’educazione sentimentale, anzi dell’educazione alla vita”.Nel quarto Pickup, così, si legge: I LOVE YOU I LOVE YOU I LOOOOVE YOU/ a quindici anni sonava il juke box/ le gambe ardenti nella rena bruciata/ i capelli di Laura al ritmo delle spalle nere/ si aprivano in un flauto tremante continuato nelle gocce sui fianchi”. Nell’undicesimo Pickup, poi, troviamo versi di questo genere: “Mangio il gelato e sento al juke box/ che i Beatles cantano All You Need Is Love”.
La poesia delle cose si apre spesso al gioco verbale, non disdegnando di ispirarsi anche ai vecchi Promessi Sposi, come nel dodicesimo Pickup: “Quel ramo del lago di Como tra due file non interrotte di monti e sounds”.
Nel complesso, si tratta di un mondo poetico compatto e coerente, che affonda le radici in una profonda e dichiarata esigenza dell’uomo, che si affianca al poeta; però, come dicevamo prima, è un libro che richiede molta, forse troppa complicità al lettore che a quel mondo è estraneo per motivi generazionali, con il pericolo di lasciarlo freddino, già da quando è costretto a cercare sul vocabolario il significato di molte delle parole inglesi usate, a partire proprio da pickup.
A completare la silloge, D’Amaro inserisce, nella seconda parte, varie altre liriche, che testimoniano di una fedeltà alla musa poetica che giunge fino ai giorni nostri senza soluzione di continuità.