Il suo viaggio in Puglia nel 1948:
avventura in auto nel Tavoliere
Quest’esperienza biografica è alla base di un bellissimo racconto,
intitolato per l’appunto Monte Sant’Angelo, che è stato da poco tradotto
e commentato da due docenti pugliesi, Mariantonietta Di Sabato e Cosma Siani, in
un’edizione per i tipi di Andrea Pacilli Editore, di Manfredonia. I due
curatori, studiosi di letteratura angloamericana, lavorano da anni intorno a
questo scritto, come spiegano nella bella postfazione, Perché Arthur Miller e
Monte Sant’Angelo?, che ha il pregio di sciogliere numerosi degli
interrogativi che nascono intorno ad un simile racconto, che viene
opportunamente presentato con il testo a fronte, in modo da documentare anche le
scelte stilistiche dei traduttori.
Un’autovettura attraversa il Tavoliere, con il suo verde uniforme,
guidata da un autista di Lucera, e accompagna due americani a Monte Sant’Angelo,
Appello e Bernstein. Il primo è alla ricerca delle sue radici e sa che nella
cittadina garganica vive una sua vecchia zia; inoltre, nella cripta della chiesa
riposano da tempo immemorabili i suoi avi. Questo ritorno al passato di Appello
viene visto con distacco da Bernstein, finché, in un ristorante, non incontrano
un singolare venditore di tessuti, Mauro di Benedetto, che ha fretta di tornare
a casa, portando il pane fresco ai suoi familiari, in ossequio ad una vecchia
tradizione. Il particolare non sfugge a Bernstein, che è ebreo (come il vero
Miller). Gli ebrei al calare delle tenebre del venerdì iniziano la celebrazione
dello Shabbath, ossia la festa del riposo del sabato. Ma il mercante è un ebreo
inconsapevole, nel senso che segue soltanto, in modo vago, delle antiche
tradizioni della sua famiglia (Bernstein osserva: «Non solo si comporta da
ebreo, ma da ebreo ortodosso. E nemmeno lo sa... è tremendamente strano per
me»).
Questa fugace presenza umana ha il merito di far sentire meno solo
Bernstein, che riscopre un passato che è anche il suo, mostrandosi infine
bendisposto verso la ricerca di Appello, che termina con l’individuazione delle
tombe degli avi nell’umida e semiallagata cripta. L’ultimo flash narrativo è per
Mauro di Benedetto, «che scendeva per la strada rocciosa e tortuosa,
affrettandosi per arrivare prima che il sole andasse giù».
Il racconto, davvero singolare, fotografa, con realismo, con gli occhi
acuti di un americano, l’esistenza di una cittadina povera e isolata, priva di
attrattive, soffermandosi in modo pregnante su particolari e dettagli, tra
strade solitarie, folate fredde di vento e curve a gomito che incutono timore.
Sono pagine di grande effetto, nella loro scabra sostanza, che non si
dimenticano facilmente. Il racconto è apparso per la prima volta nel 1951, sulla
rivista Harper’s Magazine, poi fu incluso nella silloge novellistica I
Don’t Need You Any More, edita nel 1967, dove rappresenta uno degli scritti
meglio riusciti.
Ritorniamo ora alla domanda iniziale: da dove nasce un racconto simile?
Nella sua autobiografia Arthur Miller parla del viaggio in Europa fatto nel
1948. In quell’occasione si reca anche in Puglia, citando esplicitamente Foggia
e Mola di Bari, non Monte Sant’Angelo. Ma i due curatori non si sono arresi e
hanno percorso un’altra via, ponendosi in contatto con il suo compagno di
viaggio dell’epoca, l’italoamericano Vincent Longhi, anche lui scrittore e
personaggio ragguardevole. Questi era candidato al Congresso americano e aveva
pensato bene di contattare in Italia le famiglie dei portuali di Red Hook, per
motivi elettorali. Avrebbe parlato con loro, portando notizie al ritorno ai cari
oltreoceano, sperando di ottenerne il voto.
Dalla ricerca, dunque, viene
fuori la sostanza autobiografica del racconto in questione, che permette di
identificare Longhi-Appello e Miller-Bernstein, impegnati in una escursione in
una cittadina come Monte Sant’Angelo.
Il lavoro analitico sulle fonti, insomma, non si configura come un’oziosa
indagine su particolari secondari della vita e della produzione di Arthur
Miller, ma, al contrario, permette di chiarire la genesi di un brano di notevole
bellezza. Viene così isolato con chiarezza il tema centrale, quel bisogno di
vincere la solitudine, quella necessità di ricercare una mano, un filo, un segno
che permetta all’uomo di superare l’angoscia esistenziale in nome di valori
postivi.
Nell’elenco degli scritti più
interessanti dedicati alla letteratura di viaggio di argomento pugliese va
senz’altro posto il bellissimo racconto di Arthur Miller Monte Sant’Angelo,
apparso su rivista nel 1951 e poi incluso, con alcune varianti, nel volume I
Don’t Need You Any More, del 1967. Il racconto è stato appena ripubblicato,
con traduzione e postfazione di Mariantonietta Di Sabato e Cosma Siani (Andrea
Pacilli Editore, Manfredonia, pp. 60, euro 12). I due curatori, oltre ad
approntare una nuova traduzione, hanno aggiunto una preziosa postfazione,
Perché Arthur Miller e Monte Sant’Angelo?, che offre un utile sussidio alla
lettura, racchiudendo i risultati raggiunti in anni di ricerche, grazie anche al
contributo dell’italoamericano Jim Longhi (1916-2006), di cui i due curatori
stanno pubblicando le opere in Italia.