E ARTHUR MILLER RACCONTȮ MONTE SANT’ANGELO

Il suo viaggio in Puglia nel 1948: avventura in auto nel Tavoliere

 

         Arthur Miller (1015-2005) è stato uno scrittore statunitense di notevole fama, specie per opere come il dramma Morte di un commesso viaggiatore. Per gli amanti della cronaca rosa, poi, Miller è stato per 5 anni, dal 1956 al 1961, il marito della diva per antonomasia, Marilyn Monroe, e dunque un coprotagonista di gossip e colpi di scena. Nella sua lunga vita, però, non manca un filo rosso che lo collega alla Puglia, ed in particolare a Monte Sant’Angelo.

         Quest’esperienza biografica è alla base di un bellissimo racconto, intitolato per l’appunto Monte Sant’Angelo, che è stato da poco tradotto e commentato da due docenti pugliesi, Mariantonietta Di Sabato e Cosma Siani, in un’edizione per i tipi di Andrea Pacilli Editore, di Manfredonia. I due curatori, studiosi di letteratura angloamericana, lavorano da anni intorno a questo scritto, come spiegano nella bella postfazione, Perché Arthur Miller e Monte Sant’Angelo?, che ha il pregio di sciogliere numerosi degli interrogativi che nascono intorno ad un simile racconto, che viene opportunamente presentato con il testo a fronte, in modo da documentare anche le scelte stilistiche dei traduttori.

         Un’autovettura attraversa il Tavoliere, con il suo verde uniforme, guidata da un autista di Lucera, e accompagna due americani a Monte Sant’Angelo, Appello e Bernstein. Il primo è alla ricerca delle sue radici e sa che nella cittadina garganica vive una sua vecchia zia; inoltre, nella cripta della chiesa riposano da tempo immemorabili i suoi avi. Questo ritorno al passato di Appello viene visto con distacco da Bernstein, finché, in un ristorante, non incontrano un singolare venditore di tessuti, Mauro di Benedetto, che ha fretta di tornare a casa, portando il pane fresco ai suoi familiari, in ossequio ad una vecchia tradizione. Il particolare non sfugge a Bernstein, che è ebreo (come il vero Miller). Gli ebrei al calare delle tenebre del venerdì iniziano la celebrazione dello Shabbath, ossia la festa del riposo del sabato. Ma il mercante è un ebreo inconsapevole, nel senso che segue soltanto, in modo vago, delle antiche tradizioni della sua famiglia (Bernstein osserva: «Non solo si comporta da ebreo, ma da ebreo ortodosso. E nemmeno lo sa... è tremendamente strano per me»).

         Questa fugace presenza umana ha il merito di far sentire meno solo Bernstein, che riscopre un passato che è anche il suo, mostrandosi infine bendisposto verso la ricerca di Appello, che termina con l’individuazione delle tombe degli avi nell’umida e semiallagata cripta. L’ultimo flash narrativo è per Mauro di Benedetto, «che scendeva per la strada rocciosa e tortuosa, affrettandosi per arrivare prima che il sole andasse giù».

          Il racconto, davvero singolare, fotografa, con realismo, con gli occhi acuti di un americano, l’esistenza di una cittadina povera e isolata, priva di attrattive, soffermandosi in modo pregnante su particolari e dettagli, tra strade solitarie, folate fredde di vento e curve a gomito che incutono timore. Sono pagine di grande effetto, nella loro scabra sostanza, che non si dimenticano facilmente. Il racconto è apparso per la prima volta nel 1951, sulla rivista Harper’s Magazine, poi fu incluso nella silloge novellistica I Don’t Need You Any More, edita nel 1967, dove rappresenta uno degli scritti meglio riusciti.

         Ritorniamo ora alla domanda iniziale: da dove nasce un racconto simile? Nella sua autobiografia Arthur Miller parla del viaggio in Europa fatto nel 1948. In quell’occasione si reca anche in Puglia, citando esplicitamente Foggia e Mola di Bari, non Monte Sant’Angelo. Ma i due curatori non si sono arresi e hanno percorso un’altra via, ponendosi in contatto con il suo compagno di viaggio dell’epoca, l’italoamericano Vincent Longhi, anche lui scrittore e personaggio ragguardevole. Questi era candidato al Congresso americano e aveva pensato bene di contattare in Italia le famiglie dei portuali di Red Hook, per motivi elettorali. Avrebbe parlato con loro, portando notizie al ritorno ai cari oltreoceano, sperando di ottenerne il voto.

          Dalla ricerca, dunque, viene fuori la sostanza autobiografica del racconto in questione, che permette di identificare Longhi-Appello e Miller-Bernstein, impegnati in una escursione in una cittadina come Monte Sant’Angelo.

         Il lavoro analitico sulle fonti, insomma, non si configura come un’oziosa indagine su particolari secondari della vita e della produzione di Arthur Miller, ma, al contrario, permette di chiarire la genesi di un brano di notevole bellezza. Viene così isolato con chiarezza il tema centrale, quel bisogno di vincere la solitudine, quella necessità di ricercare una mano, un filo, un segno che permetta all’uomo di superare l’angoscia esistenziale in nome di valori postivi.

        

          Nell’elenco degli scritti più interessanti dedicati alla letteratura di viaggio di argomento pugliese va senz’altro posto il bellissimo racconto di Arthur Miller Monte Sant’Angelo, apparso su rivista nel 1951 e poi incluso, con alcune varianti, nel volume I Don’t Need You Any More, del 1967. Il racconto è stato appena ripubblicato, con traduzione e postfazione di Mariantonietta Di Sabato e Cosma Siani (Andrea Pacilli Editore, Manfredonia, pp. 60, euro 12). I due curatori, oltre ad approntare una nuova traduzione, hanno aggiunto una preziosa postfazione, Perché Arthur Miller e Monte Sant’Angelo?, che offre un utile sussidio alla lettura, racchiudendo i risultati raggiunti in anni di ricerche, grazie anche al contributo dell’italoamericano Jim Longhi (1916-2006), di cui i due curatori stanno pubblicando le opere in Italia.   

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